Una “Favela” ai margini di Colli Aniene
Sovraffollamento ed emergenza sanitaria per gli immigrati e disagi per i residenti

30 luglio 2014 Se vi è capitato recentemente di percorrere via delle Messi D’Oro, la strada che congiunge la via Tiburtina a Pietralata all’altezza di Ponte Mammolo, vi sarete certamente domandati perché gruppi nutriti di africani soggiornano lungo la strada o nel parcheggio della Metro. Non mi sono sbagliato “soggiornare” è il termine esatto perché lungo questa strada si fa ormai di tutto, dal dormire al mangiare fino ad espletare i bisogni fisiologici essenziali. Tutto questo perché il Centro di Accoglienza Immigrati che sorge in questa via non è in grado di reggere il flusso di persone che, volontariamente o indirizzate dalle Istituzioni, cercano ospitalità nella struttura. Sovraffollamento ed emergenza sanitaria per gli immigrati ed inevitabili disagi dei residenti sotto gli occhi distratti della politica, fanno apparire questa parte di territorio “peggio” di una Favela brasiliana. Una baraccopoli chiamata “Comunità della Pace” degna dei paesi meno sviluppati, dove agli iniziali 150 ospiti stranieri si sono aggiunti nel tempo migranti di varie nazionalità che vivono in piccole abitazioni di muratura o in baracche di legno e lamiera o in tenda. A questi occorre aggiungere gli ultimi arrivati che hanno per tetto il solo cielo stellato. Questo accampamento lascia molto a desiderare sia per l'approvvigionamento idrico che i servizi igienici largamente insufficienti e spesso neppure allacciati alle fogne. Alle tende e alle baracche di lamiera pian piano si sono affiancate piccole abitazioni di muratura, edificate senza alcun tipo di permesso e in barba ad ogni dettame di sicurezza, costruite dagli ospiti del campo nel corso degli anni.
Nella baraccopoli ognuno bada per sé e non esiste nessuna organizzazione collettiva che ne garantisca la gestione e il funzionamento. In poche parole gli abitanti della baraccopoli sono praticamente abbandonati a loro stessi.
Le ragioni di tutto questo derivano dal consistente flusso migratorio che l’Italia sta subendo in questi ultimi anni, con la latitanza pressoché totale dell’Europa, in larga parte favorito da contesti di guerra civile dei Paesi del nord d’Africa e caratterizzato da richiedenti asilo e possibili beneficiari di protezione internazionale. Una situazione critica che sta mettendo e metterà sempre più sotto pressione il sistema di accoglienza rivolto ai rifugiati (afghani, sudanesi, etiopi, somali ed eritrei), con evidenti particolari criticità nella capitale. Attraverso le reti di conoscenza informali in Italia i nuovi migranti cercano sostegno ed assistenza tra i propri connazionali che vivono in questo territorio. Tuttavia, se da un lato possono ricevere qualche aiuto nell’inserimento lavorativo e abitativo, dall’altro tendono a creare delle comunità chiuse che vivono ai margini della società sia dal punto di vista economico che sociale.

Su questa ennesima “vergogna sociale” l’amministrazione capitolina continua a chiudere gli occhi (1) e a mostrare indifferenza nonostante le proteste dei residenti che fino ad un anno fa avevano un buon rapporto con gli ospiti di questo insediamento ((1)proprio lo stesso atteggiamento mostrato fino ad oggi sui roghi tossici di Tor Sapienza). Si continua a sottovalutare il costante pericolo di potenziali epidemie sanitarie e i problemi sociali e di sicurezza che potrebbero scaturire da una situazione esplosiva per il sovraffollamento della baraccopoli. Se questa è l’ospitalità che Roma garantisce agli immigrati stranieri che ne hanno diritto, siamo veramente messi male e il futuro appare assai fosco per questa città.
Qualcosa si può, dunque, e si deve fare!

“A Roma i villaggi di tuguri si contano a decine. Si acquattano in prati e marane tra gli squarci della città, si stendono lungo argini di ferrovie e terrapieni, si aggrappano ai muraglioni degli acquedotti per chilometri e chilometri... Non sono abitazioni umane, queste che si allineano sul fango: ma stabbi per animali, canili. Fatti di assi fradice, muriccioli scalcinati, bandoni, tela incerata. Per porta c’è spesso solo una vecchia tenda sudicia. Dalle finestrine alte un palmo, si vedono gli interni: due brandine, in cui dormono in cinque o sei, una seggiola, qualche barattolo. Il fango entra anche in casa....La pura vitalità che è alla base di queste anime, vuol dire mescolanza di male allo stato puro, di bene allo stato puro: violenza e bontà, malvagità e innocenza, malgrado tutto. Qualcosa si può, dunque, e si deve fare”
(Pasolini, 1958)

Antonio Barcella
www.collianiene.org
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