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Terza puntata del libro “La Cervelletta di Mimmo e con Mimmo”

16 febbraio 2017 - Oggi proseguiamo la pubblicazione del libro “La Cervelletta di Mimmo e con Mimmo” - Terza puntata. "VISITA AL CASALE - Ora consentitemi di accompagnarvi in un percorso straordinario all'interno del Casale.
Intorno al Casale potete osservare una serie di edifici; alcuni dei quali fatiscenti, costruiti nei primi decenni del '900 che costituiscono il “Borgo rurale” della Cervelletta. In alcuni di essi abitavano ed abitano ancora, in modo stanziale, i lavoratori agricoli occupati stabilmente nella grande azienda, sia nei lavori agricoli, che nella gestione dei numerosi animali all'interno delle stalle. Gli edifici più piccoli costituivano il ricovero per animali da cortile.
Soffermiamoci un momento davanti al grande portale: alle vostre spalle, con ingresso attraverso il cancello contrapposto a quello del Casale, c'è la zona detta del “Rimessino” con i due “Silos” e numerosi edifici fatiscenti, utilizzati per il rimessaggio degli attrezzi agricoli , con annessa officina, e come ricovero per piccoli e grandi animali. Sulla sinistra, all'interno del “Rimessino”, potete ammirare due bellissimi “Silos”, all'interno dei quali veniva posto uno strato di erba e uno di sale, che, pressati da enormi e pesanti coperchi, mossi da un argano manuale, si trasformavano in una poltiglia maleodorante, di cui, però, le mucche erano ghiottissime.
Più lontano, in basso a destra, il “vecchio fienile”, di cui, a causa di un rogo, sono rimaste in piedi solo le colonne.
Sempre davanti al Casale, sulla sinistra, potete ammirare la “Casetta di Cerasella”, l'ultima asinella della Cervelletta, immortalata con un realismo sorprendente, sulla parete di fondo da un pittore sconosciuto. Se si ascolta attentamente ed in silenzio se ne può ancora ascoltare il raglio solitario provenire dai campi vicini. Un tempo adibita ad abitazione, fino a qualche tempo addietro era utilizzata, per il gioco delle carte, da parte degli ex contadini e dei loro amici.
In primavera ed in estate, è, da anni, frequentata da 5/6 coppie di rondini, che convivono, rispettate, con le grida dei giocatori. Vicinissimo alla “Casetta di Cesarella”, si può notare una “Torretta”, simile ad una garitta militare. Si tratta di uno “Sfiatatoio” (aereatore) di una grotta, in parte scavata nel tufo, sottostante a tutto il piano terra, che fungeva da cantina sociale.
Durante la seconda Guerra mondiale guerra, come racconta Pietro, è servita anche da rifugio nel corso dei bombardamenti. Gli occhi curiosi dei bimbi spaventati lasciavano l'abbraccio delle mamme, durante le notti, e si affacciavano per osservare lo spettacolo tragico di un cielo rischiarato sinistramente dalle bombe traccianti. Gli adulti pensavano con preoccupazione ai carri carichi di grappoli di uva, provenienti dalla zona di Tor Sapienza che si sarebbero trasformati in vino, pigiati con i piedi nudi dei giovani che si agitavano felici senza correre rischio a causa di quello “sfiatatoio”.
Attualmente tutta quest'area, dal Comune, è stata affidata a Roma Natura, che intende trasformarla in “albergo diffuso” : una reception, uno spazio ludico e una grande struttura museale (nel grande fienile).
Roma Natura ha ottenuto dalla Comunità Europea circa € 1.700.000 e ha già provveduto a consolidare la rupe tufacea e ad effettuare la pulizia botanica dell'area in questione.
Ora siamo di fronte al grande arco d'ingresso, realizzato, come il resto, in pietra tufacea, nel 1600.
A sinistra si può ammirare una sezione di basolato romano costruito di basoli, che numerosissimi, si trovano nell'area circostante e che potrebbero provenire dal diverticolo (piccolo raccordo stradale che collegava le consolari) che metteva in comunicazione la villa romana del “Colle della Puletrara”, da una parte con la Via Tiburtina e dall'altra con la via Collatina.
Intanto ammiriamo l'imponenza della costruzione con mura a “scarpa”, le cornici marcapiano, quelle delle finestre, la chiave, tutto realizzato in pietra tufacea.
Ora, finalmente, entriamo nel Casale, attraversiamo l'ampio porticato, contraddistinto da due ordini di volte: la prima a “botte”, la seconda a “crociera” che introduce al grande cortile.
Portatevi in fondo al cortile; ora rivolgete lo sguardo verso la Torre: magnifica... vero? E' una torre medievale che risale al 1200, quando, intorno, non c'erano che boschi e superfici agricole. E' alta 27 m. con lato di 7 m. .
Le torri medievali, espressione della potenza dell'aristocrazia feudale, erano abitate dal 1° piano, a cui si accedeva attraverso un ponte levatoio, che alcuni archeologi sostengono essere nel lato opposto a quello che stiamo osservando. Nella generalità dei casi una torre assolveva a tre funzioni, identificabili anche nella struttura architettonica: la prima è quella di “semaforica”; se guardate la sommità della torre, sotto i due merli centrali guelfi, (quelli ghibellini sono a coda di rondine), ci sono due anelli di pietra bianca e, sotto, delle mensole che servivano per inserirci e sostenere delle fiaccole, utili per trasmettere, durante la notte, messaggi di pericolo, di aggressione, d'incendio... alle altre torri delle vicinanze: Tor Cervara, Tor Sapienza, Tor S, Eusebio ecc..
Di giorno si può immaginare accogliessero bandiere o stendardi e trasmettere messaggi diversi.
La seconda funzione è quella militare: sulla sommità correva un ballatoio, di cui rimangono due sostegni in pietra bianca, nel lato alla vostra sinistra, utilizzato per vedetta, ma anche per offesa e difesa.
La terza funzione era quella “giurisdizionale”; indicava, cioè, la proprietà.
Oltre ai merli, altri elementi architettonici della Torre, sono costituiti dalla piccola costruzione “aggettante”, che fuoriesce, cioè, dal corpo di fabbrica della Torre, a circa metà della sua altezza: si tratta di una latrina che ricorda quelle che i romani costruivano per i loro soldati lungo le mura. La lunga scia disegnata sui mattoncini di tufo sottostanti alla latrina testimoniano la funzione da questa esercitata successivamente alla sua costruzione.
L'altro elemento architettonico importante è dato dalla piccola feritoia a “bocca di lupo” rastremata, cioè, verso l'interno che rappresenta l'unica finestra originaria della Torre. Le altre sono state ricavate successivamente.
Fino a qualche decennio fa, alla base della Torre c'era un grande abbeveratoio per i numerosi animali “liberi” presenti nelle stalle del Casale; si dice alimentato da una sorgente sotterranea al centro del cortile. Una leggenda vuole che, all'interno della Torre, sia stata tenuta prigioniera Beatrice Cenci.
Intorno al grande cortile quadrato, si possono osservare le aperture che davano accesso ai diversi corpi di fabbrica delle stalle (doppi verso l'A24 e via Tor Cervara) con i sottostanti fienili caratterizzati da grandi finestroni, un tempo tutti aperti, poi molti di essi murati, che servivano per far passare aria e luce ed essiccare ulteriormente l'erba (il fieno) utilizzato per alimentarei numerosi animali.
Ora varchiamo la piccola porta di servizio - sguardo fronte Torre - che si apre sul lato sinistro del cortile e visitiamo una delle grandi stalle della Cervelletta: ai due lati si possono osservare le “mangiatoie” che contenevano il fieno che veniva fatto calare dalle botole che si aprono sul soffitto. Sul lato esterno della mangiatoia ogni due mucche avevano a disposizione un “beverino”, una coppa di ghisa in cui scorreva l'acqua tenuta a livello da un galleggiante, per abbeverarsi.
Nella parete sopra le mangiatoie potete osservare degli incavi, dove veniva collocato una “saponetta” di sale che ogni due mucche potevano “leccare” per reintegrare il sale di cui il fieno è povero. Sul pavimento si possono osservare due “formelle” dove scorreva l'urina che veniva raccolta all'interno di buche per poi perdersi nel terreno sottostante. Il letame, invece, veniva caricato su dei carrelli che scorrevano su un binario ancora evidente al centro delle stalle e, attraverso degli “snodi” raggiungevano le due grandi letamaie, a destra e a sinistra rispetto al corpo di fabbrica delle stalle e utilizzato, in agricoltura, per concimare le terre.
Un altro “segreto” delle stalle, come mi è stato riferito da un vecchio ed espertissimo “vaccaro”, è dato dal colore azzurrino che veniva dato sulle pareti delle stalle, perché considerato repellente per mosche e zanzare, che avrebbero potuto pungere e innervosire le mucche e i cavalli.
Nelle stalle, oltre ai buoi da lavoro, ai cavalli, ai vitelli, ai muli, ci sono state fino a 170 mucche da latte, le uniche ad avere il privilegio, in quanto “produttrici”, di possedere un nome proprio, che, in genere, era legato a qualche caratteristica specifica dell'animale.
Il ricordo va ai pascoli di montagna di alcuni anni prima, ma, soprattutto a “Caporala”, che spesso, con i suoi possenti e tristi muggiti, costretta alla catena di una stalla, raccontava ai vitelli la bellezza dei pascoli montani, quando, con il suo enorme campano di capo indiscusso, indirizzava tutta la mandria verso le fresche sorgenti nelle valli profonde, che solo lei era in grado di scoprire e per questo era diventata “Caporala”; tutti gli altri animali la ricordano con ammirazione e nostalgia.
In fondo alla stalla potete osservare alcuni vecchi attrezzi di lavoro risalenti a metà del secolo scorso che la gentilezza della famiglia Secondi ha voluto concedere, in ricordo delle attività della grande azienda agro-zootecnica della Cervelletta: una trattrice, un aratro metallico bivomere, una ranghinatrice e una vecchia e, ormai, inutilizzabile “biga”, che, quasi certamente, è servita ad Anna Fraentzel in Celli ed altri suoi ospiti per raggiungere la stazione di Tor Sapienza, come racconta nel suo libro “Uomini che non scompaiono”, quando
veniva alla Cervelletta per occuparsi, insieme al marito, il grande medico immunologo Angelo Celli, di malaria e di alfabetizzazione dei contadini.
A proposito di questa stalla e delle difficili condizioni di lavoro agricolo, un inciso doloroso è dato dalla morte di un operaio agricolo caduto da una delle botole del soffitto."

Antonio Barcella
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