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Un racconto di Domenico Coratella per riflettere su quanto sia cambiato Colli Aniene dalla sua fondazione

15 maggio 2020 - Da oggi inizieremo a pubblicare i migliori racconti che vengono realizzati nel laboratorio di scrittura creativa dell’Università Popolare Michele Testa. Sono racconti che parlano del territorio, della socialità, dei rapporti umani, delle esperienze che si vivono in un microcosmo come il quartiere di Colli Aniene di circa 30.000 abitanti. In particolare oggi abbiamo scelto il racconto “PAROLE DI IERI … PAROLE DI OGGI” di Domenico Coratella che attraverso la sua creatività ci conduce a riflettere su quanto sia cambiato questo quartiere dalla sua fondazione ad oggi: “Quella mattina era diversa dalle altre. Quella mattina, dopo un mese di lockdown, non ero disposto a continuare la rigorosa consegna del “tutti a casa”: avrei approfittato della possibilità di passeggiare, rigorosamente da solo, a circa duecento metri dalla mia abitazione. Erano le nove del mattino e provvisto della mascherina d’ordinanza mi sono chiuso la porta di casa alle spalle e sono uscito in strada.
Assorto nei miei pensieri camminavo, senza una meta precisa, per le strade del mio quartiere quando, dopo aver oltrepassato il cancelletto d’entrata del Centro Anziani, su via Meuccio Ruini, ho intravisto una figura un po’ tarchiata uscire, guardandosi intorno, dal portoncino della sede del Consorzio Aic, al civico 3.
Per qualche secondo ho continuato a seguire i miei pensieri, ma poi, facendo mente locale mi sono accorto che c’era qualcosa di strano.
Quella mattina era un sabato e il sabato gli uffici del Consorzio sono chiusi. Lo so bene, ci ho lavorato per quattordici anni. E poi quella persona che usciva, quegli occhiali con la montatura di osso scuro, quel cappello tipo Borsalino piccolo, chiuso in un cappotto scuro che scendeva fin sotto le ginocchia, circospetto si guardava intorno, allo stesso modo di chi spera di non essere visto, che è identico a quello di chi cerca di vedere qualcuno.
Mi sono incuriosito e ho accelerato il passo. Intanto lui aveva già svoltato su viale Ettore Franceschini. Passando a mia volta davanti al portoncino dell’Aic ho notato la serrandina aperta ma la porta a vetri chiusa. Strano, ho pensato, ed ho ancora accelerato per non perdere il passo.
Girato l’angolo, sotto il portico dove ci sono i negozi chiusi per le ordinanze del Covid19, vedo il bellissimo allestimento de L’Arte nel Portico con la sua sequenza, pilastro dopo pilastro, di quadri dei vari artisti che espongono le loro opere. Stranamente il portico è deserto con l’unica eccezione di quell’uomo. Rifletto un attimo e mi torna in mente il Covid19; ma che follia organizzare la manifestazione in questo periodo!Questa considerazione non fa che aumentare il mio senso di straniamento.
Mi fermo perché il mio uomo si è bloccato davanti ad una serie di cartelloni illustrativi. Guarda, osserva, legge e si guarda intorno.
Lo faccio anch’io e, chiaramente, non vedo nessuno se non lui, che si toglie gli occhiali, tira fuori un fazzoletto di cotone dalla tasca dei pantaloni, se la passa sul viso. Un gesto che ho visto fare io piccolo, da mio padre quando voleva nascondere un’emozione. Lo vedo di profilo mentre, aprendo il fazzoletto, pulisce gli occhiali, ha un viso pieno e gioviale, non avrà più di cinquant’anni. Ho la chiara sensazione di averlo già visto, ma non ricordo né quando né dove. Rimette gli occhiali e riprende i suoi passi sotto il portico.
Lo seguo. Quando sono io davanti ai cartelloni mi prende un colpo. Quello che vedo e leggo è la storia della nascita del Consorzio Aic, le foto dell’inizio della costruzione di questo quartiere, la storia di quegl’uomini che ne sono stati protagonisti.
E il cuore mi batte perché sto guardando la foto di Virgilio Melandri sui cartelloni e girando la testa di lato, vedo lui che cammina lungo il portico.

Continuo a spostare lo sguardo dai cartelloni a quell’uomo.
Non può essere! Eppure è lui, sono sicuro, l’ho riconosciuto; anche solo di profilo, quegli occhiali, quel cappello uguale alla foto.
Istintivamente gli vado dietro. Sarò a venti metri, lui continua a camminare ma poi si ferma, ha sentito i miei passi. Quasi mi fermo anch’io, ma non lo faccio perché non voglio pensi che lo stia seguendo, e continuo, imbarazzato: cosa gli dico se mi ferma, se mi parla … , ma è tutto vero? Sto sognando?
No, non sto sognando. Quando sono a due metri da lui mi da il buongiorno.
Mi fermo anch’io e provo a sorridere, anche se sento sul viso un’espressione sconcertata, identica ai miei pensieri.
Buongiorno. Gli dico.
Improvvisamente ho la bocca asciutta, non riesco a spiccicare una sillaba.
Mi toglie dall’imbarazzo:
M – buongiorno (ripete), siamo a Colli Aniene, vero? Ma che è successo, sono le nove e per strada non c’è nessuno…
D – è per via del coronavirus, siamo in quarantena da più di un mese, ancora non si vede via d’uscita, la gente è confinata in casa… è un virus che attacca soprattutto i più grandi, quelli dai sessantacinque in su…
M - beh! Dei vegliardi vuole dire… dai sessantacinque in su!
Penso: anch’io ho sessantacinque anni e non mi sento proprio un vegliardo, però rifletto e mi rendo conto che sto parlando con una persona che, appartenuta a qualche generazione precedente, ritenga un ultrasessantenne un vegliardo.
D’altra parte io, quando avevo dieci anni (negli anni sessanta), pensavo che e gli ultrasessantenni fossero da mettere in naftalina!
Comunque, la situazione è completamente irreale, e per provare a scuotere me dal sogno gli domando:
D – mi scusi ma lei è Virgilio Melandri?
M – si, sono io… ma mi conosce…?
D – certo che la conosco, lei è il papà di questo quartiere, ha fatto nascere anche il Consorzio Aic, è stato lei che poi, prendendo accordi con il movimento cooperativo emiliano, ha realizzato il sogno della casa per decine di migliaia di operai e impiegati! Tra l’altro io ho avuto l’onore di lavorare nel Consorzio e condividerne gli ideali che lo hanno permeato e che ancora, sono convinto, perseguono. Ora io sono in pensione, ma ho un buon rapporto con tutti lì dentro… (e indico il soffitto perché gli uffici sono proprio sopra al portico che stiamo calpestando).
M – si lo so, ho provato a visitare i nuovi uffici, non c’ero mai stato, ma su non c’è nessuno…
D – come le dicevo è per colpa del Covid19…
Sembra una discussione normale tra due persone normali, ma io ancora non mi faccio capace… sto parlando con Virgilio Melandri che ci ha lasciati nel 1971…
Oddio! Fosse successo qualcosa anche a me!
Eppure lui continua e dice…
M – è successo come per la “spagnola”… io avevo cinque anni, me l’ha raccontato mio padre, eravamo a Ostia. E’ stato terribile mi hanno detto, tutti con le mascherine… tutti quei morti…
Io gli faccio vedere quella che, momentaneamente tengo sul collo, pronto a tirarmela su nel caso dovessi parlare da vicino con qualcuno. In questo caso siamo a due metri e non l’ho indossata…
Già! Non l’ho indossata…
A questo punto non riesco più a tenermi e gli domando di getto:
D – mi scusi Melandri perché è qui?
Fa un gesto con la mano come se stesse per dire… è ovvio perché… e
M – intanto diamoci del tu, siamo colleghi di lavoro, e poi sono qui perché dovevo vedere com’è andata a finire… cioè, una vita spesa per il diritto alla casa di tutti, soprattutto di quelli che sono gli ultimi e che a buon bisogno le costruiscono le case, ma non hanno abbastanza soldi per comprarsele… avevo bisogno di sapere…
D – direi che è andata bene, questo è un bel quartiere, ci abito fin dal 1977, quando ancora c’erano strade sterrate, nessun servizio… ora qui abbiamo quattro supermaket, banche, negozi e tanti spazi verdi, alcuni anche attrezzati con giochi per bambini… insomma è vivibile molto di più di altri quartieri del centro città o della periferia, io non lo cambierei… è ormai una vita che sono qui!
M – sono contento, mi fa piacere, era importante costruire le case che costassero meno di quelle sul mercato privato, ma era altrettanto importante che fossero con del verde intorno, con i giardini condominiali e con delle aere verdi come polmone del quartiere… E la vita sociale?
D – dopo un’entusiasmante spinta durata quasi tutto il decennio dei settanta, dove si sono moltiplicate associazioni, comitati di ogni genere, organismi di gestione del verde pubblico, attività sociali, c’è stata, per la verità partita dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra , una svolta nel privato, che ha condizionato anche il nostro Paese, influenzandolo negativamente. Quella esigenza di condivisione, quella solidarietà istintiva e quella voglia di partecipare che era un tratto distintivo anche e soprattutto del nostro quartiere, è sparita. Progressivamente si sono allentati i contatti, gli istituti della partecipazione si sono indeboliti, quando non scomparsi, si sono dissolti tutti i partiti politici degli anni settanta! Ora ci sono altri partiti, altre sigle.
Lo vedo sconcertato… riflette un attimo e poi dice:
M – e tutto questo?
Con la mano indica la mostra sotto il portico…
D – tutto questo è il frutto dell’attività di chi ancora ci crede, di quelle persone che negli anni settanta avevano vent’anni o poco meno, sono loro che tengono viva quella fiamma che è stata per più di una generazione la voglia di stare insieme e cambiare il mondo…
M – e i giovani? I giovani sono importanti…
D – è vero! I giovani sono importanti… e non è che non ci sono… ci stanno, ma sono pochi… forse noi non siamo capaci di coinvolgerli, di farli appassionare…
M – dovete parlare con i giovani, sono loro la forza vitale, senza di loro tutto questo non ci sarebbe. Io ero circondato da giovani e grazie a loro questo quartiere, che tu dici bello e accogliente, è nato… continuate a crederci, fornite il vostro esempio, impegnatevi in prima persona… i bambini prendono coscienza e diventano adulti seguendo l’esempio dei genitori… siate esempio per i giovani… prima o poi vi seguiranno e col tempo vi sostituiranno… Due guerre mondiali hanno segnato la mia gioventù: è la storia, la memoria, non scordare da dove si viene… , queste le cose importanti da tramandare ai giovani, non dobbiamo mai smettere di ricordare, per correggere gli errori e far tesoro delle buone idee…
Pronuncia queste frasi con passione e penso sia il tratto distintivo che lo ha accompagnato nella vita nell’affrontare i problemi…
Niente da dire: quest’uomo è ancora un esempio!
Abbiamo scambiato queste frasi passeggiando sotto il portico… lui ogni tanto, anche mentre parlava, si soffermava a guardare qualche dipinto, qualche acquarello, un manufatto originale… ci siamo rifermati davanti ai cartelloni con la storia del quartiere… ha ridato un’occhiata… poi:
M – beh! Ho visto quello che volevo vedere e ho sentito da te tutto quello che c’era da sentire…
Sta per darmi la mano ma la ritira…
M – suppongo non si possa… ti saluto, è stato un piacere… a proposito come ti chiami?
D – Domenico, mi chiamo Domenico…
M – ciao Domenico…
Si volta, fa qualche passo ed è all’angolo con via Meuccio Ruini, gira… non lo vedo più…
Resto interdetto perché ho la sensazione che non ci sia rimasto molto bene… quello che ha sentito… i giovani… è vero fanno fatica… facciamo fatica a coinvolgerli. Però ha ragione lui, dobbiamo continuare, dare l’esempio, non stancarci mai… ci seguiranno, prima o poi ci seguiranno…
Voglio dirglielo che non molleremo, voglio rassicurarlo che continueremo a batterci per cambiare in meglio questo mondo…
Faccio quasi di corsa i passi che mi portano all’angolo dove l’ho visto girare. Ci arrivo… NON C’E’ PIU’!
E’ scomparso, si è volatilizzato… ho quasi una vertigine e mi guardo intorno…
Con la coda dell’occhio vedo la serrandina dell’Aic chiusa… ma come? Prima era…
Un pensiero, forse razionale, forse no, certamente ridicolo, perché mi sento dire a voce alta:
“A Dome’ è sabato e il sabato gli uffici dell’Aic so’ chiusi!” di Domenico Coratella

Antonio Barcella
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