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“Ma, l’Auto Elettrica, è veramente ecosostenibile?” di Alberto Tittozzi

10 marzo 2023 - La comunicazione da tempo abusa di terminologie (quali: Ecologia, Ambiente, Sostenibilità, Economia circolare, etc.) che esprimono concetti ben distinti fra loro, ma dei quali troppo spesso se ne confondono i confini; il risultato è che di frequente, in assoluta buona fede, diamo per scontato che un concetto ne soddisfi anche un altro per sola assonanza. Il caso più eclatante in questo periodo, è l’errata valutazione che si sta facendo del fenomeno “Auto Elettrica”. Di recente, inspiegabilmente, il Parlamento Europeo ha votato a maggioranza la cessazione delle vendite di vetture con motori endotermici a favore di vetture e furgoni con motori totalmente elettrici, a partire dal prossimo 2035. Fortunatamente la delibera è stata temporaneamente sospesa, in attesa di nuovi approfondimenti sul tema.

Dico “inspiegabilmente” perché, questa nuova legge, da un lato indica chiaramente la scelta della mobilità elettrica come unica soluzione, escludendo di fatto le altre soluzioni di mobilità, come l’Idrogeno o l’impiego di nuovi carburanti sintetici a basso livello di emissioni, dall’altro perché la legge si articola nel più vasto programma della “Transizione Ecologica”, che dovrebbe basare tutte le scelte in un’ottica di “Ecosostenibilità” dei processi.

Sembrerebbe quindi che all’auto elettrica sia stata attribuita la qualità di soluzione di mobilità “ecologica”, unitamente a quella di soluzione “ecosostenibile”. Ma quest’ultima è un falso!

Nessuno può negare che l’auto elettrica sia un’eccellente soluzione per la mobilità urbana “CO2 free”. Ma in un’ottica di Economia Circolare come possiamo definire “ecosostenibile” l’auto elettrica?

Ciò che non è assolutamente ecologico ne tantomeno ecosostenibile, è tutto ciò che orbita intorno all’auto elettrica, dal punto di vista dei processi: produttivo, dell’esercizio, dello smaltimento e riciclo, oltre alle implicazioni socio economiche che ciò comporta.

Dal punto di vista dell’esercizio, la prima cosa che ci viene in mente è l’indubbio vantaggio della mobilità elettrica nelle città. Senza ombra di dubbio, in Europa abbiamo un problema di elevatissimi livelli di inquinamento atmosferico in tutte le principali città e l’uso delle vetture elettriche può essere un valido contributo al miglioramento della qualità dell’aria. Dai dati che stanno emergendo, dal pur modesto parco di vetture elettriche circolanti, si evince che queste hanno un ottimo rendimento in città, un rendimento discreto (in linea con i motori endotermici) nei percorsi extra urbani, mentre il rendimento termodinamico delle vetture elettriche, crolla vistosamente nei percorsi autostradali e di montagna, ovvero i consumi di energia diventano eccessivi (e i costi di conseguenza), ma soprattutto dobbiamo considerare che l’energia elettrica utilizzata dalle auto elettriche è prodotta ancora, e lo sarà per molti dei prossimi anni, da centrali termoelettriche, che ad oggi sono fra le maggiori cause di emissione di CO2 nell’atmosfera.

È quindi vero che la vettura elettrica non emette CO2, ma le centrali termoelettriche per produrre l’energia necessaria, emettono CO2 in quantità nettamente maggiore di quanto ne possano emettere le vetture con motori Euro6.

A questo punto la domanda sorge spontanea, “perché utilizzare le auto elettriche al di fuori delle grandi città?” Ai posteri l’ardua sentenza.

Secondo uno studio di Terna, se avessimo, solo in Italia, il 50% del parco circolante in auto elettriche (circa 18 milioni di vetture), avremmo un aumento di consumi di circa 35 Miliardi di Kwh l’anno, ovvero un incremento di oltre il 10% del consumo elettrico annuo nazionale. Per fare fronte a questa ipotesi, sarebbe necessario costruire 3 o 4 centrali termoelettriche di nuova generazione (visto che di energia nucleare ancora non se ne parla) oppure veicolare tutta l’energia prodotta da fonti rinnovabili di nuova produzione, verso la mobilità elettrica, rinunciando alla chiusura delle vecchie centrali ad olio combustibile più inquinanti. Ne consegue che il contributo alla riduzione delle emissioni complessive di CO2, attraverso l’impiego della mobilità elettrica, sarebbe totalmente fallito, almeno nei prossimi anni.

Dal punto di vista produttivo, il problema dell’ecosostenibilità rimane un mistero. Al riguardo si deve considerare che, secondo uno studio dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), rispetto alla produzione di auto tradizionali, la produzione di un’auto elettrica, necessita da 6 a 9 volte la quantità di minerali/ materie prime, definite critiche in termini impatto ambientale e sociale” per disponibilità, estrazione e raffinazione.

In particolare, per la produzione delle batterie e dei motori elettrici ad alta efficenza di nuova generazione, sono necessarie enormi quantità di Rame, Litio, Nichel, Cobalto, Cadmio, Manganese, le cosi dette Terre Rare (17 elementi chimici aventi particolari caratteristiche magnetiche ed elettriche) oltre al preziosissimo e tristemente noto Coltan (lega di Columbite e Tantalio già largamente utilizzati per i telefoni cellulari) per la cui disponibilità in Congo è da anni in corso una guerriglia con migliaia di vittime. Questi minerali, sebbene disponibili in natura, sono purtroppo presenti solo in pochi paesi (Congo, SudAfrica, Cile, Brasile, Myanmar, Australia, Cina, Russia e USA), purtroppo mai in forma pura. L’estrazione la separazione e la raffinazione di questi minerali comporta gravissimi danni ambientali e sociali per le comunità coinvolte nell’attività estrattiva. Alcuni esempi: il 20% del Cobalto si estrae da miniere artigianali nel Congo ove lo sfruttamento del personale è a livello di schiavismo, incluso il largo impiego di bambini. In Cile si estrae il 58% del Litio, la cui raffinazione è fortemente inquinante. Nella regione del Salar de Atamaca alla fine del 2021 il 65% delle falde acquifere sotterranee risultavano avvelenate per inquinamento, essendo così inutilizzabili per agricoltura e allevamento, questo sta costringendo migliaia di famiglie della zona ad abbandonare il territorio.

I processi chimici per la separazione e la raffinazione di questi minerali, richiedono enormi quantità di acqua e di energia elettrica, risultando molto costosi e fortemente inquinanti. È facile comprendere perché i grandi gruppi minerari, per massimizzare i loro profitti, preferiscano sviluppare codeste attività in paesi ove la mano d’opera è a buon mercato e dove regole di salvaguardia e controlli ambientali siano praticamente assenti. Ma soprattutto lontani da occhi indiscreti.
Ottobre 2021, nel corso del summit mondiale delle maggiori aziende minerarie, prodotto dal Financial Times, Mike Henry, CEO di BHP Billiton (maggiore azienda mineraria del mondo) ha definito il processo di “decarbonizzazione” la più grande opportunità di business della storia dell’industria estrattiva degli ultimi 50 anni.

Le prime 20 compagnie minerarie al mondo hanno annunciato piani di investimenti per nuove attività estrattive per oltre 50 miliardi di dollari nei prossimi anni.

Per dare un’idea della forza con cui i colossi del settore minerario sono impegnati nel ridefinire i loro rapporti con i governi locali, è la costituzione del “Consiglio Internazionale delle Miniere e dei Metalli” (ICMM) composto da 28 società minerarie e da 35 società statali per la gestione delle risorse nazionali, allo scopo, ufficiale, di creare delle linee guida e delle regolamentazioni comuni, ma soprattutto evitare qualsiasi tipo ostacolo burocratico derivante da regolamentazione riguardanti i diritti umani e i livelli di concentrazione degli inquinanti.

Lo studio “Smoke & Minerals” pone in risalto la necessità di analizzare, monitorare e porre dei correttivi alle politiche espansionistiche di queste aziende, per contrastare le inevitabili conseguenze sociali e ambientali. (Molto interessante l’articolo di AltraEconomia “le mani delle multinazionali minerarie sulla decarbonizzazione”).

Dal punto di vista dello smaltimento e riciclo, qui siamo ancora in alto mare. Le batterie di nuova generazione hanno una vita media compresa fra i 7 e i 10 anni, mentre la vita media dei nuovi motori elettrici è stimata in circa 150/160.000km. Il fatto che, con queste stime, si possa pensare di posticipare nel tempo la soluzione del problema dello smaltimento, con l’auspicio che le nuove tecnologie possano essere risolutive, non vuole dire che al tempo debito lo avremo risolto, anzi tutt’altro, perché il problema dello smaltimento delle batterie è di fatto una bomba ecologica ad orologeria.

Nell’intervista di febbraio 2022 il Prof. Roberto Cingolani (al tempo ministro della Transizione Ecologica) riguardo le batterie dichiarava che “c’è un intero processo di seconda vita e smaltimento, che va progettato da zero, e questo, nel mondo, non ce l’ha ancora nessuno” Gli attuali impianti di trattamento delle batterie esauste, stanno ottenendo risultati di poco migliori del 5% di Litio recuperato e le prospettive di sviluppo sono tutt’altro che positive.

Altro rischio è quello di parlare solo dello smaltimento delle batterie, mentre dobbiamo considerare l’intera auto elettrica (motore, elettronica di bordo, scocche in fibre sintetiche, etc.) che richiederà nuovi processi di smontaggio e riciclo, completamente diversi dai processi odierni.

Implicazioni socio-economiche, sono talmente tante, complesse ed alcune ancora non pienamente identificate, che renderebbe superflua ogni valutazione andassi a esprimere. In questa sede voglio fare solo alcune considerazioni sulla base dei dati oggi disponibili.

Un parametro che da anni è il fondamento delle varie negoziazioni in ambito COP è la relazione che sussiste fra il PIL e il livello di inquinamento prodotto da uno stato o da una macro area (tipo la UE).

La UE nel 2022 ha prodotto un PIL (Prodotto Interno Lordo) di circa 15.050 Miliardi di Dollari pari a circa il 15% del PIL mondiale (pari a 102.000 miliardi di Dollari). Secondo i dati di COP- 27 nel 2021 la UE ha prodotto circa 5.010 milioni di tonnellate di CO2 pari al 6,5% della CO2 prodotta nel mondo. l’Agenzia Europea per l’Ambiante ha dichiarato che, nel 2021 le emissioni di CO2 del comparto “Trasporto” (incluso: navi, aereo, rotaia e gomma) sono state di circa 825 milioni di tonnellate, di cui il trasporto su gomma contribuisce per circa 500 milioni di tonnellate.

Premesso che tutto il dibattito sulla mobilità elettrica si riferisce esclusivamente alle vetture e ai mezzi commerciali, escludendo per limite tecnologico tutti i mezzi pesanti, il contributo di CO2 immessa nell’atmosfera dal parco circolante scende a circa 250 milioni di tonnellate di CO2. (Dati pubblicati sul sito dell’ European Environment Agency EEA).

Immaginando ottimisticamente che nel corso dei prossimi 15 anni andremo a sostituire il 50% del parco auto circolante in Europa e che tutta l’energia necessaria all’auto-trazione sarà prodotta da fonti rinnovabili, immaginando, ancora più ottimisticamente, che tutte le filiere di prodotto abbiano raggiunto una adeguata ecosostenibilità, potremmo ottenere nel migliore dei casi un taglio di 125 milioni di tonnellate CO2 immessa nell’atmosfera pari allo 0,07% del totale mondo.

A fronte di un risultato potenziale così modesto, sorge spontanea la solita domanda, Perché?

La decisione di bloccare dal 2035 la vendita delle auto con motore endotermico (decisione unica al mondo, nessun paese sta valutando un’azione simile) rischia di produrre ricadute economiche devastanti.

La filiera “Automotive” in Europa, ed in Italia in particolare, rappresenta una delle poche eccellenze tecnologiche e produttive che oggi deteniamo a livello mondiale, Il possibile blocco della produzione, metterebbe a repentaglio il futuro di migliaia di lavoratori, oltre alla distruzione di un KnowHow motoristico costruito in quasi un secolo di attività e tradizione.

Per quanto concerne l’auto elettrica il know how, la componentistica, la filiera del prodotto, oltre il controllo dei prezzi delle materie prime, oggi è in mano a Cina e USA, l’Europa sembra essere sempre più un mercato di riferimento per la vendita dei prodotti, ma non più un player di riferimento tecnologico. La scellerata scelta fatta negli anni 2000 di legarci al gas russo, sembra non abbia insegnato nulla alla classe politica. Ho il fondato sospetto che lo sviluppo dell’Auto Elettrica porterà più problemi di quanti benefici promette di produrre.

“Last, but not the lest” ultimo aspetto poco comprensibile, nella politica ambientale della Commissione Europea, è che la UE e le organizzazioni internazionali in genere, non mostrano la medesima determinazione espressa contro la CO2, nei confronti dell’inquinamento chimico dell’aria e delle acque.

Lo dimostra la carenza di dati disponibili per qualunque tipo di analisi o investigazione, al contrario di quanti dati sono disponibili per la CO2.

Mentre i mari stanno morendo, le micro-plastiche sono entrate nel ciclo alimentare, le falde acquifere sono avvelenate dall’abuso di sostanze chimiche in agricoltura, le emissioni industriali, dei rifiuti, del trattamento degli idrocarburi, stanno avvelenando l’aria che ci circonda, dal punto di vista delle scelte politiche tutto tace o meglio si parla per non dire nulla, gli interessi economici e i conseguenti equilibri politici sono troppo sensibili.

Le città sono delle camere a gas, ma ci si preoccupa solo della CO2.

Il vero rammarico, è essere consapevole che le scelte di oggi saranno i risultati di domani e quello cui stiamo assistendo non ci lascia per nulla tranquilli, per noi, ma soprattutto per i nostri figli e le generazioni a venire. (Alberto Tittozzi)

 

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